Comunque vada non importa

AAA

Comunque vada non importa è il titolo del libro d‘esordio di Eleonora C. Caruso, classe 1986. Si tratta di un libro all’apparenza abbastanza difficile da giudicare in toto: non tanto per eccessiva frammentazione ma perché contiene tre storie, e tre modi di raccontarle, diverse tra loro (e che corrispondono ognuna a una delle tre parti in cui è diviso il libro). Riassumendolo brevemente: Darla, la protagonista, è una ragazza scappata dalla provincia a Milano non sa nemmeno lei perché che, mentre finge di frequentare l’università, vive su un divano rimpinzandosi di patatine, manga e anime. Con lei abita il fratello Andrea, omosessuale e problematico, che si taglia ed è bulimico. Al paese hanno lasciato una casa vicino a campi dove correre liberi, una madre morta e un padre assente e distaccato, insoddisfatto di essere rimasto a fare il dottore della mutua nonostante la laurea in Neurochirurgia. Forse in questa insoddisfazione, causata dal suo voler rimanere attaccato ai genitori, si trova una delle cause della distanza tra lui e i suoi figli: non volendo che facciano la sua stessa fine, quasi li costringe ad andarsene di casa per cercare fortuna (anche se, come scopriamo leggendo, preferirebbe averli ancora vicini).
La prima parte della narrazione sembrerebbe quella di un tipico romanzo adolescenziale: ci vengono descritti i particolari della vita di Darla, presentata come pigra e indolente e, soprattutto, svogliata. Non ha voglia di far nulla, non si sforza di cambiare abitudini, si rifugia nella sua presunta incapacità per trovare una scusa alla sua pigrizia. Il rapporto con Andrea è problematico: quasi non si parlano, e soprattutto Darla invidia quel fratello tanto diverso e più intelligente, che tutti sempre hanno stimato e a cui vogliono bene, ma che ha dentro un vuoto di attenzioni che cerca di riempire tagliandosi le braccia e vomitando quello che mangia. Alessandro, il fidanzato di Andrea, è invece un «modello intrappolato nel corpo di uno storico», che «fisicamente è perfetto» e che cerca di contrastare l’indolenza della protagonista con un deciso vitalismo.
La seconda parte inizia quando Andrea tenta il suicidio. Non che, come detto, tra lui e la sorella ci fosse un gran rapporto, ma si tratta di una prima crepa, che inizia lentamente ad aprirsi un varco in Darla: «Ho guardato per la prima volta nella spaccatura dentro di me, la differenza tra quella che sono e che sento di essere, una persona piena di storie, all’interno, esperienze, persone che ho conosciuto e luoghi in cui ho vissuto, e poi, all’esterno, solo questo: una ragazza sola». Andrea viene salvato da Alessandro in extremis, e il “fattaccio” crea un inevitabile trambusto nelle vite di tutti: in particolare, obbliga Darla a schiodarsi dal divano per occuparsi di tutto quello che aveva fino ad allora accantonato. Deve informare, e quindi affrontare, il padre; deve correre per rispettare le scadenze che la vita di tutti i giorni impone; deve, simbolicamente, uscire dalla tana che si era costruita per affrontare appuntamenti da troppo tempo rinviati. Soprattutto, il tentativo di suicidio del fratello obbliga Darla a ridefinire il suo rapporto con lui: dopo anni passati a odiarlo, a non sopportarlo, a invidiarlo − lui così perfetto e intelligente, e tanto più amato dai genitori, rispetto a lei bruttina e mediocre − è costretta a riconoscere nella sua strafottenza una mancanza di sicurezza e un vuoto interiore difficilmente colmabili. Lui che poteva permettersi qualsiasi cosa, anche buttare via la sua brillante carriera scolastica, senza chiedere scusa, ebbene proprio lui ha tentato di uccidersi. È anche lui un essere umano, allora, con ansie e paure e gioie e aspirazioni: «È amato, noi l’abbiamo sempre amato, e nonostante questo… o forse proprio per questo. È malato per poter avere tutto questo, perché pensa che altrimenti non lo avrebbe, non lo meriterebbe». Anche Andrea prova le stesse, inconcludenti delusioni davanti a un presente sempre identico e privo di interesse: la stessa mancanza di interesse che spinge lei a rifugiarsi nella realtà parallela dei fumetti e dei cartoni è una malattia che ha contagiato anche il fratello e che lo accompagna da sempre. Ma adesso, dice Darla, anche se «a lui non importa di noi,  a noi importa di lui».
Pur buttata in mezzo dalle circostanze, Darla si scopre capace di affrontare i compiti della vita, aiutata da Alessandro. Ma nel momento in cui decide di tornare nella casa milanese che condivideva con il fratello impegnandosi per trovare la sua strada da adulta, giunge la notizia della morte del padre. «Questa è l’ultima notizia che registro in modo consapevole, prima che il mio cervello sganci i moduli, spenga i driver e passi in modalità provvisoria. Papà è morto, dopo una degenza di appena un giorno, all’Ospedale Maggiore di Novara. Un cancro alla laringe al quarto stadio, mai trattato». Sale il panico, la sensazione di essere impreparati toglie il respiro; arriva al galoppo, cieco a ogni pietà e potente come uno tsunami, il momento di crescere, quello di fare delle scelte. E Darla sceglie di abbandonare la casa di Milano e di tornare a quella del paese, aspettando il ritorno di Andrea, ormai dimesso dalla clinica dov‘era stato ricoverato. Non sa dire se è davvero questo che vorrebbe, è una domanda che non si era posta nemmeno al momento di andarsene via; tuttavia, «scappare è più stancante che fermarsi e ragionare». Anche se sarebbe più facile fare come Andrea, chiamarsi fuori con un autolesionismo egoista che obbliga gli altri a distogliere lo sguardo dai loro problemi per risolvere le nostre infantili paure, arriva il momento di fermarsi. Il momento dove anche la felicità passa in secondo piano, davanti alla necessità di trovare una stabilità qualsiasi. E, alla fine, comunque vada non importa: si pensa sempre che per tirare avanti, per realizzarsi, bisogna essere pieni di qualità (come Alessandro; ma anche Alessandro ha i suoi problemi), ma a vincere la morte non sono l’amore o i sogni ma «le piccole e insignificanti cose quotidiane, che nella loro successione logica impongono di fare prima questo e poi quello». E se spesso vorremmo delegare ad altri, far vivere agli altri quello che non ci piace, alla fine bisogna essere responsabili di noi stessi e l‘unico segreto di quella che, vista da fuori, ci sembra realizzazione, è proprio l‘accettazione di questi meccanismi banali ma vitali. Darla lo capisce: «Tutte le volte che sto male, mi dico che sì, ce la farò. Non perché sono forte o perché ci credo, ma perché così deve essere, è quello che siamo programmati a fare, e quindi te lo devi lasciar fare». Non è la felicità (Andrea non è ancora guarito, lei vive di contratti precari in un piccolo paese che non le appartiene), ma è la vità. È l‘unica mano che possiamo giocarci.

Il libro è un buon esordio. La storia regge, parte con un taglio giovanilistico per concludersi in tutt‘altro modo. Lo stile è brillante e pesca nel mondo dei videogiochi e dei fumetti, ma anche dei cellulari e di tutti gli oggetti che costituiscono la nostra vita, per paragoni e metafore. A fare da contraltare alla sciattezza grigia di tutta la vicenda sta il tono della protagonista, una voce di ragazza forte (anche se all’apparenza non si direbbe) e ironica con se stessa e con il mondo circostante. Come quando, per esempio, decide di vendicarsi delle commissioni che la Posta applica sui pacchi di fumetti che si fa spedire dal Giappone rubando le penne degli uffici postali: «Vado sempre in posta a rubare le penne. La posta, in questi anni, mi ha rubato circa quattrocento euro, rifilandomi dogane tra i quaranta e i settanta su pacchi dal valore di venti. All’inizio andavo sempre a litigare, finché qualcuno non mi ha detto: “Signorina, non ci sono regole, decidiamo sul momento”. Allora ho calcolato che, considerando un valore di trenta centesimi ognuna, mi tocca rubare milletrecentotrentaquattro penne per ripagarmi da sola».
Lo si sarebbe definito, una volta, un Bildungsroman o romanzo di formazione ma − anche a prescindere dal postmodernismo che ha annacquato i generi letterari − non prevede nessuna riappacificazione tra l‘interiorità della protagonista e la realtà sociale che la circonda. Meglio definirlo romanzo di oggi, con protagonisti nei quali ognuno di noi può più o meno compiutamente specchiarsi. È soprattutto nella mancanza di prospettive che sta la sua caratteristica decisamente contemporanea: se all’inizio Darla rimanda ogni preoccupazione, anche una volta costruitasi nella sua personalità non trova sbocchi o soddisfazioni professionali (e nemmeno personali). Perciò, comunque vada davvero non importa: è l‘unica filosofia valida, oggi, per il singolo nel mondo. Un singolo che potremmo benissimo essere noi.

.

Eleonora C. CarusoComunque vada non importa, Milano, Indiana , 2012 (224 pag., 14,50 euro)
Abbiamo recensito questo libro anche su aNobii! Se siete anche voi nella famosa libreria virtuale aggiungeteci!
www.anobii.com/genrivista/books

scrivici che ne pensi

  • Lettori

    • 97.764
  • Archivio

  • Iscrivendoti potrai leggere gli articoli appena postati, i commenti fatti, le immagini pubblicate.

  • La rivista e l'intero materiale presente su questo sito appartengono ai loro legittimi proprietari. Le opere possono essere trasmesse purché siano segnalati gli autori e non sia a scopo di lucro. Tutto quello che viene scritto nella rivista e sul sito è espressione individuale del suo autore. Le immagini utilizzate sono sempre degli autori di generAzione e dei suoi collaboratori, dove non indicato sono state prese dal web ricercando immagini in CC e prive di copyright. Se vedi un'immagine che ti appartiene contattaci subito e la toglieremo.

    Creative Commons License 2013 - generAzionerivista
  • Creative Commons License

    Ebuzzing - Top dei blog - Letteratura Ebuzzing - Top dei blog - Cultura