Poesie d’amore ne sono state scritte tante, troppe.
Persino ora, mentre vi scrivo, l’occhio mi cade a sinistra, dove ho la libreria con la mia selezione di poesia, e mi accorgo che lo scaffale all’altezza del mio sguardo è un girone infernale di amanti dannati. E ti viene da chiederti se non sia già stato detto tutto, sull’amore, o se l’argomento è talmente vasto, così straordinariamente vasto da non poter essere veramente e adeguatamente trattato nemmeno in un milione di anni. Questa vastità un po’ mi spaventa, un po’ mi rincuora, e va bene così.
Non mi addentrerò ulteriormente nel discorso, ma resta il fatto che di poesie sull’amore ne sono state scritte veramente tante. Ma quante? Ecco, diciamo che ne sono state scritte tante quante un uomo avido di poesia potrebbe leggerne in una vita intera (ma guardatevi da coloro che leggono solo poesie d’amore, perché la poesia è anche rabbia, merda, invidia, miseria e potrei andare avanti all’infinito citando ulteriori termini di profonda bassezza umana).
Il motivo di questa solo all’apparenza inutile premessa sta nel fatto che oggi parleremo di un libro che pare parlare d’amore e invece parla d’altro, anche d’amore alle volte, ma principalmente d’altro. Luca Cerretti, l’autore, ce lo dice fin dalla copertina con un titolo a mio avviso tra i più azzeccati in assoluto, Alcuni tentativi di ipnosi. È un titolo forte e inquietante che conferisce alla poesia un potere di controllo oscuro, ma allo stesso tempo denota la precarietà di questo potere relegandolo più a un ruolo di sperimentazione sul campo, all’esercizio di «alcuni tentativi» il cui successo o fallimento è lasciato al giudizio del lettore che ne osserva il progredire componimento dopo componimento.
L’amore è un sistema di credenze,
vorrei poterti dire,
ma il cuore non è altro
che un muscolo elastico di valore incerto,
quasi nullo sul mercato nero.
Statisticamente l’amore non dura
e io detesto tutto quello che finisce.
Mi dispiace, ma le mie risposte sono limitate.
Ma è stata infranta una legge,
la legge, almeno, te la ricordi?
La raccolta è attraversata da un’amara vena di rancore che è impossibile ignorare. È quasi centrale, sembra il perno attorno al quale ruotano tutti i componimenti, ma non diventa mai pesante non solo perché intima ed estranea al lettore, ma soprattutto perché l’autore la plasma con sardonico distacco, evocando l’eco di un lungo addio dal cui continuo elaborare emerge un ritratto secco e disilluso, un piccolo breviario d’abbandono e rinascita nella lingua delle persone toccate dalla poesia.
Trovo sempre più magra la consolazione
rischiando la figura dell’incurabile
che si pittura di nero la bile
e mentre il mercato crolla
ti rivedo muovere la mascella
farneticando sillabe tra i miei timpani.
Ci sono state splendide speculazioni,
tagli al bilancio per narcotizzare il debito
e noi che non abbiamo mai versato altro che lacrime
patteggiamo una ciclica sequenza di scuse, debolissime.
Il registro linguistico è tra i più colloquiali possibili, ed è una scelta che premia l’intenzione di parlare per farsi immediatamente capire, lasciando a metafore coraggiose, spesso anche di carattere tecnico e per nulla scontate, il compito di accompagnare il lettore in una dimensione sensoriale ampiamente e tristemente condivisibile.
− Se ci sei batti un colpo… −
il vecchio trucco della seduta spiritica.
In fondo si tratta solo di ipnotismo
e altri trucchi coatti del mestiere.
Per non esporti alla mia zona di sconforto
rotoli, anoressica tra rovine circolari.
Se solo la smettessi,
di condensare il vuoto in una frase,
eviterei di amplificare le tue imprese.
In un indecifrabile oblio Luca Cerretti sembra parlare dal palco di un teatro con una sola sedia in platea e tuttavia con spettatori collaterali e impotenti, rivolgendo i suoi tentativi di ipnosi forse a quell’unico spettatore, forse a se stesso o forse alla necessità di esorcizzare e filtrare il rancore attraverso l’esercizio poetico, che sempre cura le ferite. La sua poesia non dispensa soluzioni né si proclama portatrice di qualsivoglia verità, ma conscia delle sue ragioni stabilisce una memoria concreta di sensazioni riconoscibili e dona al lettore la possibilità di immedesimarsi nel dolore e nella rivalsa, in alcuni dei suoi − speriamo riusciti − tentativi di ipnosi.
Posso sempre ripensarci
ma amo le ripetizioni
e poi voglio deludere le mie aspettative.
Posso ridere guardando
quel video dove completamente nudo,
tentavo di ipnotizzare un mazzo di rose.
Posso rilegge i tuoi scongiuri
cercando di individuare
quei caratteri cifrati di indifferenza monastica.
Posso vivere almeno un altro decennio,
malgrado l’aumento delle polveri sottili
e i risultati deludenti del mio cardiofitness.
E tu, puoi?
*
Due righe di biografia
Luca Cerretti vive a Bologna, dove si è laureato al Dams Cinema con una tesi sulla paranoia nel cinema americano contemporaneo. È attivo anche sul suo blog all’indirizzo narcostrocche.blogspot.it.
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