Voce alle nuove voci: Marco Saya edizioni

© essegraph.it

La salvezza della poesia, la salvaguardia del suo potente patrimonio sia in termini artistici che civili passa — ovviamente — per le mani del poeta, che tanto può far bene alla poesia quanto può far male perché spesso i poeti sono creature vanitose, sprovvedute, vittime inconsapevoli del proprio ego e convinti promotori del proprio prodotto, così arrovellati attorno alla comprensibile fame di attenzione da scordare la profonda importanza del confronto, l’utilità della ricerca poetica, la necessità prima di essere parte integrante di uno scambio di opinioni e non una voce lasciata affievolirsi nel vento. Ecco allora che il poeta, da solo, per la poesia può fare molto ma non può fare abbastanza.
Allora? Allora ogni tanto, tra grandi nomi dell’editoria inaccessibili per il povero poeta emergente e proposte editoriali ambigue che di quest’ultimo vorrebbero sfruttare l’ingenuità, ogni tanto scopri che qualcuno ha davvero a cuore il destino della poesia, e guarda avanti a un vasto orizzonte di poeti emergenti in un’operazione editoriale nata da poco ma che ha già i contorni di una vera e propria missione di ricambio generazionale, in uno degli ambienti più immutabili del panorama culturale italiano. È il caso di Marco Saya, già nostro ospite su generAzione, musicista, poeta e, dal 2012, editore.

La Saya Edizioni nasce nel 2012, non troppo tempo fa, ce ne vuole parlare?
Sì, è giovanissima, anche se la cosa era già stata pensata da tempo. L’intento era quello di dare risalto all’ambiente della poesia contemporanea emergente, pubblicando autori la cui ricerca per l’innovazione fosse in sintonia con la linea editoriale presentata dalla casa editrice, non replicatori dei cliché poetici della tradizione bensì ostinati osservatori del proprio tempo. Quasi tutti i nostri autori sono alla loro prima esperienza di pubblicazione o provengono dalla narrativa e si confrontano per la prima volta con la poesia. In poche parole è proprio questa la chiave di lettura della nostra linea editoriale: la ricerca del nuovo, come espressione poetica ma soprattutto come autori ai quali dar voce. La potremmo definire una casa editrice a gestione famigliare, ce ne occupiamo stabilmente io e mia moglie aiutati da un piccolo ma validissimo comitato di redazione che ci aiuta nella scelta dei testi.

Una casa editrice che si occupa principalmente di poesia in un periodo in cui la poesia soffre di una considerazione forse mai così scarsa.
Beh sì, ma il problema non risiede tanto nella mancanza di buona poesia nel nostro tempo, quanto nella chiusura rispetto alle novità delle case editrici più grandi: si pubblicano sempre quei pochi nomi famosi, ma si lasciano fuori dal gioco moltissimi altri autori che pur avendo ottime potenzialità non trovano il loro spazio nel mercato editoriale. È qui che trova il suo spazio la nostra casa editrice, un poco fuori dalle classiche logiche editoriali, per dare risposta a quella sete di visibilità che validissimi emergenti non possono altrimenti soddisfare.

O che si affidano alle case editrici a pagamento.
O che si affidano alle case editrici a pagamento certo. A tal proposito ti dico questo: un mio autore qualche tempo fa fece un esperimento inviando delle poesie di autori conosciutissimi ad alcune di queste e nel giro di poche ore diciotto su venti hanno risposto gridando al capolavoro e proponendo immediatamente la pubblicazione. La triste realtà dei fatti è che i manoscritti spesso non vengono nemmeno letti e diventano solo un pretesto per vendere all’autore un tot di copie. È un sistema che nuoce al panorama poetico e rende confuso agli occhi dell’autore emergente l’orizzonte editoriale, oltre a essere una palese mancanza di professionalità. Per di più, questa è gente che pubblica quattro, cinque autori al mese, è una cosa impensabile se vuoi davvero concentrarti sulla promozione, seguire il tuo autore con tutte le attenzioni necessarie. Il rischio di certi passi falsi riguarda sia l’autore, che resta “scottato” dall’esperienza, ma soprattutto l’editore, colpito duramente nella sua professionalità.

Eppure sono davvero molto diffuse…
Certo che lo sono: le modalità di presentazione della loro offerta agli occhi dei “profani” diciamo sono spesso molto allettanti e fanno gola all’autore esordiente, che magari ha già preso qualche porta in faccia. La soluzione tuttavia non è cercare di contrastare questo tipo di fenomeno ma semplicemente affiancare un altro tipo di offerta che, è la mia speranza, darà i suoi risultati negli anni: attenzione agli autori, poche pubblicazioni qualitativamente ricercate, predilezione per forme poetiche fresche e inconsuete.

A proposito di questo, voglio leggerle una cosa: «Oh, cera una volta Il Poeta/ che scriveva del suo tempo/ intriso di emozioni./ C’è, oggi, un poeta/ che, oh, scrive del cera una volta/ perché il tempo è sempre quello/ e le emozioni aspettano/ da qualche parte». Questa sua poesia sembra assieme un manifesto editoriale ma anche una riflessione piuttosto amara dell’arte nel nostro tempo.
[Ride] Il motivo poetico era fortemente provocatorio ma sì, identifica con efficacia una caratteristica precisa del vissuto letterario di questi anni. La poesia perde sempre più il proprio valore di codifica dell’esperienza di vita e diventa sempre più un semplice esercizio di stile, sintomo di un’espressione omologata. Se ci fai caso, il vocabolario della poesia è sempre più ristretto, si gira sempre intorno a pochi concetti rimaneggiati.

Secondo lei come mai?
Mah, il punto è che dietro a determinati esercizi poetici non ci sono delle letture forti e una formazione solida a giustificarli. È come con la musica, una volta ci si salvava con tre accordi di Lucio Battisti, eri uno strimpellatore da spiaggia e magari ti definivi musicista, e in poesia oggi accade la stessa cosa, ci si improvvisa, non porta a nulla. In poesia come in musica, lo studio è importante.

Come abbiamo detto prima, gli emergenti spesso faticano a trovare una base dalla quale far sentire la propria voce. Non crede che da questo punto di vista la responsabilità delle case editrici sia doppia?
Assolutamente d’accordo. Infatti, uno dei miei obbiettivi come editore è proprio quello di creare una comune linea di pensiero, potremmo quasi definirla una scuola poetica dove accompagnando gli autori emergenti passo per passo si possa insegnare anche a destreggiarsi in autonomia e soprattutto, cosa più importante, creare un gruppo di poeti che tra loro si parlino, interagiscano.

Che cosa c’è nel futuro prossimo della Saya Edizioni?
Per l’anno prossimo sto pensando di esportare qualche titolo all’estero, traducendo alcuni autori in inglese e spagnolo principalmente. La vera scommessa sta nello smussare le caratteristiche strettamente legate al nostro territorio per renderle accessibili a un pubblico più vasto, una sorta di universalizzazione poetica se così la possiamo chiamare. È un lavoro difficile perché certe sfumature sono difficilissime da cogliere, figuriamoci tradurle…

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